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Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della Legge 69 del 2015 viene ripristinato il reato di falso in bilancio.
A partire dal 14 giugno 2015, le società che approveranno i bilanci saranno sottoposti all’ osservanza di questo reato. La norma riguarda sia le società quotate che quelle non quotate.
C’è poco da dire sul reato di falso in bilancio, che rientra nel novero dei reati di false comunicazioni, ricompreso nell’articolo 25 ter del d.lgs.231 del 2001.
Le osservazioni che voglio avanzare sono di tipo applicativo, ovvero: essendo la data di entrata in vigore della norma il 14/06/2015 ed essendo possibile che le società si trovino ad approvare il bilancio nel più ampio termine dei 120 giorni, prevedibile nello statuto societario, ci si può trovare, senza molte difficoltà, di fronte alla seguente situazione:
• società “virtuose” che hanno approvato il bilancio entro il termine breve, ovvero il 30 aprile, e che potrebbero aver commesso il reato in questione, ma non perseguibili;
• società che invece approvano il bilancio, utilizzando il temine lungo dei 180 giorni, per svariati motivi, come ad esempio operazioni di fusione, scorporo o perché partecipanti in società estere, si vedono soggette alla nuova disciplina.
Non avrebbe dovuto essere la data di approvazione, o di deposito, del bilancio, la questione non è
ancora ben chiara, a dettare la linea di demarcazione tra vecchia e nuova disciplina, ma più
semplicemente l’esercizio amministrativo, ovvero l’anno di competenza del bilancio.
La nuova disciplina prevista dagli articoli 2621 e 2622 del Codice Civile prevede l’esposizione di
fatti non corrispondenti la verità nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste
dalla legge, dirette ai soci e/o al pubblico.
Si tratta di un reato di pericolo e non più di danno. La rilevanza penale potrebbe scattare:
o nel momento del deposito presso la sede sociale;
o nel momento dell’approvazione del bilancio.
La dottrina e la giurisprudenza, in passato, non sempre sono state concordi.
Il nuovo reato e la 231/01
Società non quotate
Nelle società non quotate gli amministratori, gli organi direttivi, i sindaci e i liquidatori che “consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ovvero omettono fatti materiali rilevanti” la cui comunicazione è imposta dalla legge, e lo fanno in maniera “concretamente idonea a indurre altri in errore”, rischiano da uno a cinque anni di reclusione. Stessa pena si applica per le falsità o le omissioni riguardanti beni amministrati o posseduti per conto terzi.
Vengono modificate anche le sanzioni amministrative, previste in quote dal d.lgs. 231/01 da pagare da parte della società rea:
• da 100 a 200 quote, se il fatto è lieve;
• fino a 400 se il fatto è grave.
Società quotate
Gli Amministratori, gli organi direttivi, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari in Italia o Ue che nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico
“consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti” vengono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni. Nel novero rientrano, tra la altre, anche le società che “fanno appello o comunque gestiscono il pubblico risparmio”.
Anche le società quotate rispondono amministrativamente, d.lgs. 231/01, dei reati dei loro dirigenti, con sanzioni che partono da 400 e arrivano a 600 quote.
Luca De Gennaro
Dottore commercialista
Revisore contabile
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