Il 16 Dicembre le “NANOIMPRESE” che superano i limiti devono nominare il revisore: Il “risk management” cambia l’approccio metodologico del revisore soprattutto nelle micro SRL

È noto come il primo comma dell’art. 12 del D.Lgs. 14/19 obbliga gli imprenditori “alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”.
Questa disposizione si innesta con la prescrizione dell’art. 2086 secondo comma il quale statuisce che l’imprenditore collettivo ha “il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”.
In pratica l’imprenditore è oggi tenuto ad istituire un adeguato sistema di controllo incentrato sulla rilevazione anticipata del rischio di insolvenza dove per rischio si intende la possibile manifestazione negativa di un fenomeno aleatorio di cui sia possibile fornire statisticamente una determinata previsione e con il termine insolvenza si descrive lo stato di un soggetto debitore quando questi risulti impossibilitato ad adempiere, regolarmente e tempestivamente, alle obbligazioni assunte. Assunte queste definizioni sarebbe inopportuno pensare che il rischio di insolvenza possa essere monitorato soltanto analizzando l’aspetto economico/finanziario della gestione perché gli eventi negativi potrebbero insorgere in svariati altri ambiti. Si pensi ad esempio ai rischi legati alla sicurezza e salute dei lavoratori così come il danno ambientale, che potrebbero comportare addirittura la chiusura degli impianti, oppure i rischi legati all’obsolescenza dei prodotti venduti così come una pessima “costumer satisfation”, che potrebbero condurre in breve a pesanti cadute del fatturato.
In considerazione dell’estrema importanza di questa di questa disposizione il legislatore ha anche previsto che alcuni soggetti possano o debbano, a seconda dei casi, intervenire per garantire che il sistema di “risck management” sia effettivamente implementato e pertanto da un lato ha reintrodotto, a favore dei soci che rappresentino almeno 1/10 del capitale sociale di s.r.l. prive di organo di controllo, la facoltà di denuncia al tribunale ex articolo 2409 del codice civile e dall’altra ha introdotto l’obbligo, per gli organi di controllo societari, tra cui il revisore, di verificare se l’assetto organizzativo dell’impresa sia adeguato.
Per il revisore in particolare il precetto introdotto dall’art. 14 del D.Lgs. 14/19 costituisce un radicale cambio di prospettiva perché lo obbliga ad assumere provvedimenti nel caso in cui l’assetto organizzativo medesimo sia ritenuto inadeguato, pena gravi responsabilità di carattere patrimoniale. Ciò per lui comporta indubbiamente una modifica dell’approccio metodologico.
È fuor di dubbio che la prima attenta valutazione del revisore dev’essere fatta al momento del conferimento dell’incarico, occasione in cui i principi di revisione impongono venga valutata, fra l’altro, la competenza e l’orientamento al controllo della direzione e dei responsabili delle attività di governance della società. Qualora non fosse istituito alcun valido sistema di “risk management”, in violazione delle norme sopra descritte, il revisore dovrebbe concludere per una sostanziale incompetenza e mancanza di orientamento al controllo degli amministratori, circostanza dalla quale deriverebbe, come conseguenza logica, una rinuncia all’assunzione dell’incarico.

Nel corso dello svolgimento dell’incarico, invece, la norma sopra citata pone a carico del revisore sia la già nota verifica sull’assetto organizzativo dell’impresa, sia la verifica della sussistenza di “indizi di crisi”, in presenza dei quali ha l’obbligo di attivarsi, in una prima fase, per il così detto “allerta interno” a cui eventualmente far seguire, in caso di inerzia degli amministratori, “l’allerta esterno”. È evidente che non si tratta semplicemente di applicare il principio di revisione ISA Italia 570, il quale pure individua una serie di indicatori finanziari, gestionali e di altra natura atti a far sorgere dubbi significativi in merito alla permanenza della condizione di continuità aziendale, bensì di effettuare un’attività di controllo a più ampio raggio per cogliere indizi di crisi in ogni singolo aspetto della gestione.
In questo senso l’attività del revisore può risultare assai più ardua qualora si tratti operare in una così detta “nano-impresa”, vale a dire società caratterizzata da un sistema organizzativo strutturato in forma rudimentale, che assolve i vari obblighi amministrativi e contabili avvalendosi principalmente di servizi di terzi. In un ambiente contraddistinto da opacità nella gestione dei flussi informativi e difficoltà a delineare con certezza le caratteristiche del sistema di controllo interno, l’impegno del revisore sia in termini di capacità professionale sia in termini di tempo impiegato risultano moltiplicati e non certamente ridotti ad un pugno di ore di lavoro come da alcuni incautamente ipotizzato.
Un altro problema di grande rilievo attiene alla quantificazione del rischio. La procedura di “allerta precoce” va attivata solo quando la probabilità d’insolvenza subisce un incremento tale da superare la “soglia l’allerta” definita a priori con apposito regolamento interno o stabilita nel piano aziendale (risk tollerance). È quindi la probabilità di futura insolvenza che deve esprimere in modo sintetico ed univoco il “fondato indizio di crisi”. Il problema allora è stabilire in termini operativi quali e quante informazioni utilizzare dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo, come calcolare in modo oggettivo la probabilità d’insolvenza ed infine quale “misura di probabilità” considerare e come definirla puntualmente come indicatore di crisi.
A tal fine appare pressochè necessario per il revisore dotarsi di opportuni strumenti, validati scientificamente, che possano dar origine ad una analisi rigorosa e tecnicamente impeccabile.
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